Concept

L'idea alla base di questo blog è di segnalare le "perle" di saggezza che ci hanno lasciato i diversi saggi. Queste parole sono i riflessi dei concetti eterni, che essi hanno espresso per gli uomini, ognuno secondo la propria cultura di partenza, ma tutti indicando le stesse verità.

lunedì 19 febbraio 2018

Cosa è la divinità di Gesù

Spesso le diverse tradizioni religiose identificano con nomi diversi fenomeni analoghi. Per chi riesce a "vedere", questo dimostra sia che c'è una sapienza eterna, nascosta ma accessibile a chi la cerca, in tutte le fedi, sia che la grazia di Dio discende copiosa e indipendentemente dalla religione di appartenenza.

Buddhismo e cristianesimo

Dice Paul Knitter: “Il passaggio sul versante di Buddha mi ha permesso di concepire la divinità di Gesù come qualcosa a cui egli si risvegliò e a cui egli maturò tramite un processo di risveglio”. Quello che noi cristiani chiamiamo “salvezza” bisogna concepirla come il nostro personale “risveglio, cioè come la nostra scoperta della natura divina in qualità di figli di Dio”. Il fatto che noi chiamiamo Gesù “salvatore” significa che abbiamo sperimentato “la sua potenza come maestro e come rivelatore”. La “salvezza cristiana” è il “risveglio buddista”, cioè un “risveglio alla consapevolezza della nostra unione personale con Dio o comunione con lo Spirito Santo”. “La salvezza quindi non è una transazione che si svolge fuori di noi, ma una rinvigorente consapevolezza che esplode dal di dentro pervadendo poi tutto il nostro essere, significa prendere coscienza del rapporto non dualistico intercorrente tra lo Spirito e il nostro stesso io”.
I buddisti nel descrivere questa esperienza parlano di un “non-sé”. I cristiani la esprimono con la espressione di S. Paolo “essere in Cristo”. “Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me” (Gal. 2,20).

Ancora, grazie a Mimma per la condivisione!

domenica 8 ottobre 2017

La via di Dio

«Giungiamo così a questa conclusione paradossale, ma teologicamente confermata, che non è attraverso la sua professione esteriore di fede che l'uomo si salva, sia egli cristiano o ebreo, indù, buddista, musulmano o agnostico o addirittura ateo, ma attraverso la sua risposta al richiamo della grazia che gli viene rivolto, segretamente, indipendentemente dal fatto che abbia o no delle convinzioni religiose» (Bede Griffith, “Saggi per un dialogo indù-cristiano”).

Grazie a Mimma per averlo condiviso!


sabato 17 giugno 2017

Il Consolatore che è nelle scritture


"L'induismo soddisfa interamente la mia anima, riempie completamente la mia persona... Quando i dubbi mi ossessionano, quando le delusioni mi fissano negli occhi e quando non vedo alcun raggio di sole sull'orizzonte, io torno sul Bhagavad Gita e cerco un verso che mi dia conforto; ed immediatamente incomincio a sorridere in mezzo all'opprimente dolore"

(Mahatma Gandhi).

martedì 15 settembre 2015

La Filosofia Perenne

Introduzione al libro di Aldous Huxley

Copertina del libro
(i grassetti e le note al testo sono mie C.L.)

Philosophia Perennis: la definizione fu coniata da Leibniz ma la cosa in sé è universale e al di fuori del tempo. È una metafisica che riconosce una Realtà divina consustanziale al mondo delle cose, delle vite e delle menti; è una psicologia che scopre nell'anima qualcosa di simile alla Realtà divina o addirittura di identico ad essa; è un’etica che assegna all'uomo come fine ultimo la conoscenza del Fondamento immanente e trascendente di tutto ciò che è. Si possono trovare rudimenti di questa Filosofia Perenne nelle dottrine tradizionali dei popoli primitivi in ogni regione del mondo, mentre nelle sue forme compiutamente sviluppate essa trova posto in ognuna delle religioni più elevate. Una versione di questo Massimo Comun Divisore di tutte le teologie che precedettero e seguirono fu affidata per la prima volta alla scrittura più di venticinque secoli fa, e da quell'epoca l’argomento, inesauribile, è stato trattato più volte, dal punto di vista di ogni tradizione religiosa e in tutte le principali lingue d’Asia e d’Europa. Nelle pagine che seguono, ho raccolto un certo numero di brani estratti da queste opere, scelti principalmente per il loro significato — essi illustravano infatti in modo efficace qualche punto particolare del sistema generale della Filosofia Perenne — ma anche per la loro memorabilità e bellezza intrinseche. Queste citazioni sono distribuite in vari capitoli e, per così dire, incastonate in un commento personale, inteso ad illustrare e a collegare, ad ampliare e, ove necessario, chiarire.
La conoscenza è una funzione dell'essere. Dove si dà un cambiamento nell'essere del soggetto conoscente, vi è cambiamento corrispondente nella natura e nella quantità delle conoscenze. Ad esempio, l'essere di un bambino si trasforma in quello di un uomo attraverso lo sviluppo e l'istruzione;

sabato 15 novembre 2014

Credere

"L'uomo è fatto da ciò in cui crede. Come egli crede, cosi è" (Bhagavad Gita). “Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Matteo 6, 2 1). "Ognuno vale tanto quanto le cose a cui interessa" (Marco Aurelio). "Rivelami ciò che ami veramente, ciò che cerchi e a cui aspiri con tutto il tuo desiderio quando speri di trovare la tua vera gioia, e con ciò mi avrai spiegato qual è la tua vita. Quello che ami, tu lo vivi. Questo amore rivelato è appunto la tua vita, la radice, la sede e il centro della tua vita" (Johann Ficthe). “Dove si trova ciò che voi ritenete prezioso ci sarà anche la vostra autocoscienza, il vostro per sé. Se l’Io non ha messo il proprio tesoro nella propria autocreazione divina, se ha scelto il suo proprio contenuto empirico e quindi il convenzionale, il limitato, il finito e perciò il cieco, si è altresì accecato, privandosi della propria libertà… La sua brama di soddisfare con il finito la propria esigenza infinita è in sostanza stupida” (Pavel Florenskij). "Ciascuno ha la filosofia e la religione di cui è degno" (Benedetto Croce). "La tua vita viene forgiata dal fine per cui tu vivi. Tu sei fatto a immagine di ciò che desideri" (Thomas Merton). "Ognuno al cospetto della propria coscienza si chieda attorno a quale centro egli gravita, qual è la forza che susciti attrae le sue energie, in base a quali obiettivi struttura la vita, qual è l’ideale che dà forma alle sue giornate e di conseguenza alla sua personalità, e rispondendo scoprirà chi è, o se è, il suo dio" (Vito Mancuso). Grazie a Mimma de Maio

lunedì 25 agosto 2014

Paul Kintter: Gesù e Buddha, la potenza della parola realizzata

Nella predicazione di Gesù come nell’annuncio del Dharma del Buddha, entrambi non insegnavano solo una verità che coinvolgeva e riempiva, ma una verità che diventava energia, che colmava e poi risistemava e animava tutta la vita dei discepoli con il loro modo di vivere e di essere. Il potere del loro insegnamento era legato al contenuto di quanto insegnavano, cioè al modo in cui “ciò che dicevano chiariva ciò che è veramente”. Si dice: “Buddha è ciò che Buddha fa”. La stessa cosa si può dire anche per Gesù. Le persone sentivano il potere della verità in Gesù non solo per quanto diceva, ma per il modo con cui la incarnava nella propria vita. Gesù era il maestro potente e salvifico, perchè “era” ciò che diceva, vi dava corpo, lo realizzava, lo incarnava. Gesù era un potente simbolo di quello che comunicava, era il sacramento perfetto, originario della verità e della presenza di Dio. Gesù salvatore, Gesù rivelatore-maestro è ciò che avvertirono i discepoli vedendo le loro vite cambiate. La morte di Gesù non è un’offerta a Dio per calmarlo, per riparare un torto. Quella morte sottolinea la potenza e il mistero della sua parola, Gesù come verbo, come sapienza, maestro divenuto simbolo. Gesù muore per le sue idee. Gesù incarna la realtà dello Spirito, la rende presente e coinvolgente, dà la certezza che esiste qualcosa oltre la morte e che vale la pena di combattere per la giustizia, l’amore. (da Senza Buddha non potrei essere cristiano).

giovedì 21 agosto 2014

Pier Cesare Bori: “Ogni religione è l’unica vera”. L’universalismo religioso di Simone Weil

Riporto da inchiestaonline.it questo profondissimo testo di Pier Cesare Bori, una persona che mi sarebbe piaciuto conoscere.

Questo intervento si prefigge, sin dal titolo, una affermazione di Simone Weil “Ogni religione è l’unica vera”. Tutto quel che segue è dedicato a una riflessione su questa formula provocatoria: essa potrebbe valere come insegna di quell’universalismo che per la Weil era l’imperativo imposto dal presente. “Viviamo – diceva – in un’epoca del tutto senza precedenti: nella situazione presente l’universalità, che poteva altrimenti essere implicita, deve ora essere pienamente esplicita. Essa deve impregnare il linguaggio e tutta la maniera d’essere” (AD 81)
Comincerò proprio da quella frase della Weil, e quindi dal tema dell’universalismo. Parlerò della lealtà della Weil al punto di vista cristiano. E vedremo infine appunto quale cristianesimo risulti, dalle premesse precedenti. Farò particolarmente riferimento alla Lettera a un religioso, un testo in cui il tema universalistico è assolutamente centrale, divenendo il punto discriminante per il rifiuto del battesimo cattolico.

1. “La sintesi delle religioni implica una qualità di attenzione inferiore”
Alla fine del 1941, a Marsiglia, Simone Weil riflette su un suo quaderno polemizzando contro la “mancanza di fede”, l’”ortodossia totalitaria della Chiesa”. La Weil, dopo varie altre enunciazioni giunge a quell’affermazione finale di straordinaria forza: “Ogni religione è l’unica vera, vale a dire che nel momento in cui la si pensa è necessario applicarle così tanta attenzione, come se non vi fosse nient’altro; allo stesso modo ogni paesaggio, ogni poesia, ecc. è l’unico bello. La “sintesi” delle religioni implica una qualità di attenzione inferiore” (II, 153).
L’universalismo della Weil non consiste nel perseguire una nuova sintesi delle religioni. Il passato è ricco di questi esperimenti. La gnosi antica, il Rinascimento, l’età illuministica e il romanticismo hanno espresso tentativi di sincretismo o, appunto, di sintesi, spesso ponendo al centro di tutto il cristianesimo, si pensi al deismo massonico, alla religione della Rivoluzione francese, a certe ambizioni di Tolstoj. Ma la Weil afferma che “la sintesi delle religioni comporta una qualità di attenzione inferiore”.
“Attenzione” è una parola fondamentale per la Weil. L’attenzione che l’operaio presta alla macchina, l’attenzione che chi studia una lingua presta ai suoi caratteri, l’attenzione di chi contempla un’opera d’arte, l’attenzione alla sventura, l’attenzione dell’”amore soprannaturale e della preghiera” (II, 266): sono tutte varietà dello stesso atteggiamento di fondo, quando l’oggetto di fronte a noi diventa unico, e dimentichiamo completamente noi stessi. “Tecnica dell’attenzione. Per abbattere le cicale in pieno volo, è sufficiente non vedere nell’universo intero altro che la cicala presa di mira: non è possibile mancarla…” (II, 67 n.). “Privare tutto ciò che io chiamo “io” della luce dell’attenzione e riversarla sull’incomprensibile” (II, 79), dice anche.
Attenzione e bellezza. Ecco un testo vicinissimo al nostro. “Quando una cosa è perfettamente bella, non appena vi si fissa l’attenzione, essa è l’unica bellezza. Due statue greche: quella che si guarda è bella, l’altra no. Così la fede cattolica e il pensiero platonico e il pensiero indù ecc. [...] Così coloro che proclamano vera e bella solo una certa fede, sebbene abbiano torto, in un certo senso hanno più ragione di quelli che hanno ragione, perché essi l’hanno guardata con tutta la loro anima” (II, 176). La sintesi delle religioni è possibile solo alla disattenzione, incapace di penetrare un oggetto sino a percepirne l’unicità.

2. Non cambiare lingua
“Nella situazione presente l’universalità [...] deve ora essere pienamente esplicita. Essa deve