Concept

L'idea alla base di questo blog è di segnalare le "perle" di saggezza che ci hanno lasciato i diversi saggi. Queste parole sono i riflessi dei concetti eterni, che essi hanno espresso per gli uomini, ognuno secondo la propria cultura di partenza, ma tutti indicando le stesse verità.

lunedì 25 agosto 2014

Paul Kintter: Gesù e Buddha, la potenza della parola realizzata

Nella predicazione di Gesù come nell’annuncio del Dharma del Buddha, entrambi non insegnavano solo una verità che coinvolgeva e riempiva, ma una verità che diventava energia, che colmava e poi risistemava e animava tutta la vita dei discepoli con il loro modo di vivere e di essere. Il potere del loro insegnamento era legato al contenuto di quanto insegnavano, cioè al modo in cui “ciò che dicevano chiariva ciò che è veramente”. Si dice: “Buddha è ciò che Buddha fa”. La stessa cosa si può dire anche per Gesù. Le persone sentivano il potere della verità in Gesù non solo per quanto diceva, ma per il modo con cui la incarnava nella propria vita. Gesù era il maestro potente e salvifico, perchè “era” ciò che diceva, vi dava corpo, lo realizzava, lo incarnava. Gesù era un potente simbolo di quello che comunicava, era il sacramento perfetto, originario della verità e della presenza di Dio. Gesù salvatore, Gesù rivelatore-maestro è ciò che avvertirono i discepoli vedendo le loro vite cambiate. La morte di Gesù non è un’offerta a Dio per calmarlo, per riparare un torto. Quella morte sottolinea la potenza e il mistero della sua parola, Gesù come verbo, come sapienza, maestro divenuto simbolo. Gesù muore per le sue idee. Gesù incarna la realtà dello Spirito, la rende presente e coinvolgente, dà la certezza che esiste qualcosa oltre la morte e che vale la pena di combattere per la giustizia, l’amore. (da Senza Buddha non potrei essere cristiano).

giovedì 21 agosto 2014

Pier Cesare Bori: “Ogni religione è l’unica vera”. L’universalismo religioso di Simone Weil

Riporto da inchiestaonline.it questo profondissimo testo di Pier Cesare Bori, una persona che mi sarebbe piaciuto conoscere.

Questo intervento si prefigge, sin dal titolo, una affermazione di Simone Weil “Ogni religione è l’unica vera”. Tutto quel che segue è dedicato a una riflessione su questa formula provocatoria: essa potrebbe valere come insegna di quell’universalismo che per la Weil era l’imperativo imposto dal presente. “Viviamo – diceva – in un’epoca del tutto senza precedenti: nella situazione presente l’universalità, che poteva altrimenti essere implicita, deve ora essere pienamente esplicita. Essa deve impregnare il linguaggio e tutta la maniera d’essere” (AD 81)
Comincerò proprio da quella frase della Weil, e quindi dal tema dell’universalismo. Parlerò della lealtà della Weil al punto di vista cristiano. E vedremo infine appunto quale cristianesimo risulti, dalle premesse precedenti. Farò particolarmente riferimento alla Lettera a un religioso, un testo in cui il tema universalistico è assolutamente centrale, divenendo il punto discriminante per il rifiuto del battesimo cattolico.

1. “La sintesi delle religioni implica una qualità di attenzione inferiore”
Alla fine del 1941, a Marsiglia, Simone Weil riflette su un suo quaderno polemizzando contro la “mancanza di fede”, l’”ortodossia totalitaria della Chiesa”. La Weil, dopo varie altre enunciazioni giunge a quell’affermazione finale di straordinaria forza: “Ogni religione è l’unica vera, vale a dire che nel momento in cui la si pensa è necessario applicarle così tanta attenzione, come se non vi fosse nient’altro; allo stesso modo ogni paesaggio, ogni poesia, ecc. è l’unico bello. La “sintesi” delle religioni implica una qualità di attenzione inferiore” (II, 153).
L’universalismo della Weil non consiste nel perseguire una nuova sintesi delle religioni. Il passato è ricco di questi esperimenti. La gnosi antica, il Rinascimento, l’età illuministica e il romanticismo hanno espresso tentativi di sincretismo o, appunto, di sintesi, spesso ponendo al centro di tutto il cristianesimo, si pensi al deismo massonico, alla religione della Rivoluzione francese, a certe ambizioni di Tolstoj. Ma la Weil afferma che “la sintesi delle religioni comporta una qualità di attenzione inferiore”.
“Attenzione” è una parola fondamentale per la Weil. L’attenzione che l’operaio presta alla macchina, l’attenzione che chi studia una lingua presta ai suoi caratteri, l’attenzione di chi contempla un’opera d’arte, l’attenzione alla sventura, l’attenzione dell’”amore soprannaturale e della preghiera” (II, 266): sono tutte varietà dello stesso atteggiamento di fondo, quando l’oggetto di fronte a noi diventa unico, e dimentichiamo completamente noi stessi. “Tecnica dell’attenzione. Per abbattere le cicale in pieno volo, è sufficiente non vedere nell’universo intero altro che la cicala presa di mira: non è possibile mancarla…” (II, 67 n.). “Privare tutto ciò che io chiamo “io” della luce dell’attenzione e riversarla sull’incomprensibile” (II, 79), dice anche.
Attenzione e bellezza. Ecco un testo vicinissimo al nostro. “Quando una cosa è perfettamente bella, non appena vi si fissa l’attenzione, essa è l’unica bellezza. Due statue greche: quella che si guarda è bella, l’altra no. Così la fede cattolica e il pensiero platonico e il pensiero indù ecc. [...] Così coloro che proclamano vera e bella solo una certa fede, sebbene abbiano torto, in un certo senso hanno più ragione di quelli che hanno ragione, perché essi l’hanno guardata con tutta la loro anima” (II, 176). La sintesi delle religioni è possibile solo alla disattenzione, incapace di penetrare un oggetto sino a percepirne l’unicità.

2. Non cambiare lingua
“Nella situazione presente l’universalità [...] deve ora essere pienamente esplicita. Essa deve