Concept

L'idea alla base di questo blog è di segnalare le "perle" di saggezza che ci hanno lasciato i diversi saggi. Queste parole sono i riflessi dei concetti eterni, che essi hanno espresso per gli uomini, ognuno secondo la propria cultura di partenza, ma tutti indicando le stesse verità.

sabato 15 novembre 2014

Credere

"L'uomo è fatto da ciò in cui crede. Come egli crede, cosi è" (Bhagavad Gita). “Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Matteo 6, 2 1). "Ognuno vale tanto quanto le cose a cui interessa" (Marco Aurelio). "Rivelami ciò che ami veramente, ciò che cerchi e a cui aspiri con tutto il tuo desiderio quando speri di trovare la tua vera gioia, e con ciò mi avrai spiegato qual è la tua vita. Quello che ami, tu lo vivi. Questo amore rivelato è appunto la tua vita, la radice, la sede e il centro della tua vita" (Johann Ficthe). “Dove si trova ciò che voi ritenete prezioso ci sarà anche la vostra autocoscienza, il vostro per sé. Se l’Io non ha messo il proprio tesoro nella propria autocreazione divina, se ha scelto il suo proprio contenuto empirico e quindi il convenzionale, il limitato, il finito e perciò il cieco, si è altresì accecato, privandosi della propria libertà… La sua brama di soddisfare con il finito la propria esigenza infinita è in sostanza stupida” (Pavel Florenskij). "Ciascuno ha la filosofia e la religione di cui è degno" (Benedetto Croce). "La tua vita viene forgiata dal fine per cui tu vivi. Tu sei fatto a immagine di ciò che desideri" (Thomas Merton). "Ognuno al cospetto della propria coscienza si chieda attorno a quale centro egli gravita, qual è la forza che susciti attrae le sue energie, in base a quali obiettivi struttura la vita, qual è l’ideale che dà forma alle sue giornate e di conseguenza alla sua personalità, e rispondendo scoprirà chi è, o se è, il suo dio" (Vito Mancuso). Grazie a Mimma de Maio

lunedì 25 agosto 2014

Paul Kintter: Gesù e Buddha, la potenza della parola realizzata

Nella predicazione di Gesù come nell’annuncio del Dharma del Buddha, entrambi non insegnavano solo una verità che coinvolgeva e riempiva, ma una verità che diventava energia, che colmava e poi risistemava e animava tutta la vita dei discepoli con il loro modo di vivere e di essere. Il potere del loro insegnamento era legato al contenuto di quanto insegnavano, cioè al modo in cui “ciò che dicevano chiariva ciò che è veramente”. Si dice: “Buddha è ciò che Buddha fa”. La stessa cosa si può dire anche per Gesù. Le persone sentivano il potere della verità in Gesù non solo per quanto diceva, ma per il modo con cui la incarnava nella propria vita. Gesù era il maestro potente e salvifico, perchè “era” ciò che diceva, vi dava corpo, lo realizzava, lo incarnava. Gesù era un potente simbolo di quello che comunicava, era il sacramento perfetto, originario della verità e della presenza di Dio. Gesù salvatore, Gesù rivelatore-maestro è ciò che avvertirono i discepoli vedendo le loro vite cambiate. La morte di Gesù non è un’offerta a Dio per calmarlo, per riparare un torto. Quella morte sottolinea la potenza e il mistero della sua parola, Gesù come verbo, come sapienza, maestro divenuto simbolo. Gesù muore per le sue idee. Gesù incarna la realtà dello Spirito, la rende presente e coinvolgente, dà la certezza che esiste qualcosa oltre la morte e che vale la pena di combattere per la giustizia, l’amore. (da Senza Buddha non potrei essere cristiano).

giovedì 21 agosto 2014

Pier Cesare Bori: “Ogni religione è l’unica vera”. L’universalismo religioso di Simone Weil

Riporto da inchiestaonline.it questo profondissimo testo di Pier Cesare Bori, una persona che mi sarebbe piaciuto conoscere.

Questo intervento si prefigge, sin dal titolo, una affermazione di Simone Weil “Ogni religione è l’unica vera”. Tutto quel che segue è dedicato a una riflessione su questa formula provocatoria: essa potrebbe valere come insegna di quell’universalismo che per la Weil era l’imperativo imposto dal presente. “Viviamo – diceva – in un’epoca del tutto senza precedenti: nella situazione presente l’universalità, che poteva altrimenti essere implicita, deve ora essere pienamente esplicita. Essa deve impregnare il linguaggio e tutta la maniera d’essere” (AD 81)
Comincerò proprio da quella frase della Weil, e quindi dal tema dell’universalismo. Parlerò della lealtà della Weil al punto di vista cristiano. E vedremo infine appunto quale cristianesimo risulti, dalle premesse precedenti. Farò particolarmente riferimento alla Lettera a un religioso, un testo in cui il tema universalistico è assolutamente centrale, divenendo il punto discriminante per il rifiuto del battesimo cattolico.

1. “La sintesi delle religioni implica una qualità di attenzione inferiore”
Alla fine del 1941, a Marsiglia, Simone Weil riflette su un suo quaderno polemizzando contro la “mancanza di fede”, l’”ortodossia totalitaria della Chiesa”. La Weil, dopo varie altre enunciazioni giunge a quell’affermazione finale di straordinaria forza: “Ogni religione è l’unica vera, vale a dire che nel momento in cui la si pensa è necessario applicarle così tanta attenzione, come se non vi fosse nient’altro; allo stesso modo ogni paesaggio, ogni poesia, ecc. è l’unico bello. La “sintesi” delle religioni implica una qualità di attenzione inferiore” (II, 153).
L’universalismo della Weil non consiste nel perseguire una nuova sintesi delle religioni. Il passato è ricco di questi esperimenti. La gnosi antica, il Rinascimento, l’età illuministica e il romanticismo hanno espresso tentativi di sincretismo o, appunto, di sintesi, spesso ponendo al centro di tutto il cristianesimo, si pensi al deismo massonico, alla religione della Rivoluzione francese, a certe ambizioni di Tolstoj. Ma la Weil afferma che “la sintesi delle religioni comporta una qualità di attenzione inferiore”.
“Attenzione” è una parola fondamentale per la Weil. L’attenzione che l’operaio presta alla macchina, l’attenzione che chi studia una lingua presta ai suoi caratteri, l’attenzione di chi contempla un’opera d’arte, l’attenzione alla sventura, l’attenzione dell’”amore soprannaturale e della preghiera” (II, 266): sono tutte varietà dello stesso atteggiamento di fondo, quando l’oggetto di fronte a noi diventa unico, e dimentichiamo completamente noi stessi. “Tecnica dell’attenzione. Per abbattere le cicale in pieno volo, è sufficiente non vedere nell’universo intero altro che la cicala presa di mira: non è possibile mancarla…” (II, 67 n.). “Privare tutto ciò che io chiamo “io” della luce dell’attenzione e riversarla sull’incomprensibile” (II, 79), dice anche.
Attenzione e bellezza. Ecco un testo vicinissimo al nostro. “Quando una cosa è perfettamente bella, non appena vi si fissa l’attenzione, essa è l’unica bellezza. Due statue greche: quella che si guarda è bella, l’altra no. Così la fede cattolica e il pensiero platonico e il pensiero indù ecc. [...] Così coloro che proclamano vera e bella solo una certa fede, sebbene abbiano torto, in un certo senso hanno più ragione di quelli che hanno ragione, perché essi l’hanno guardata con tutta la loro anima” (II, 176). La sintesi delle religioni è possibile solo alla disattenzione, incapace di penetrare un oggetto sino a percepirne l’unicità.

2. Non cambiare lingua
“Nella situazione presente l’universalità [...] deve ora essere pienamente esplicita. Essa deve

giovedì 10 luglio 2014

Jivanmukti

Spiegazione del concetto di Jivanmukti, e di Vita Eterna secondo il Vangelo di Giovanni
Sruti e Smriti affermano l’esistenza dello stato di Jivanmukti. La Kathopanishad dice: “Colui che è liberato è completamente liberato”, che significa che colui che è diventato completamente libero dalla schiavitù nel corso della vita, è libero anche da ogni possibilità futura di ricadere in schiavitù, dopo la dipartita dal corpo.Poiché se dopo la morte tutti rimangono liberi per un certo periodo di tempo, ma certamente rinascono in seguito, colui che ha ottenuto la liberazione in vita rimane libero dalla nascita per sempre. Nella Brhadaranyaka Upanishad è scritto: “quando tutti i desideri che albergano nel cuore sono svaniti, il mortale diventa immortale e consegue il Brahman già in questo corpo” (4.4.7). In un altro passo della Sruti è detto: “Sebbene possieda occhi, egli è come se fosse privo di occhi; sebbene possieda orecchi, è come se non possedesse orecchi; sebbene dotato di mente, è come se fosse privo di mente; e sebbene dotato di vita, è come uno che non abbia vita”.
Il Jivanmukta è descritto con vari nomi, quali: Sthitaprajna (uomo dalla ferma saggezza), Bhagavad-bhakta (devoto di Dio), Gunaatita (al di là dei tre Guna), Brahmana (che ha realizzato il Sé), Ativarnaasramin (oltre i limiti dei Varna e degli Ashrama).
La condizione di Jivanmukti può essere ottenuta solo da una persona che abbia abbandonato tutte le azioni, quelle vediche come quelle secolari, che sia concentrato solo sulla conoscenza e immerso nella contemplazione del Sé. Jivanmukti e Videhamukti si distinguono solo in base alla presenza o assenza del corpo e degli organi di senso. In entrambi è assente la percezione della dualità.
da "Jivanmukti" http://www.pitagorici.it/forum/viewtopic.php?f=46&t=707


Vita eterna in Gesù e la samaritana
Gesù le risponde «Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete, ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna».
Gv 4,13-14


Gesù e Nicodemo (Gv.3. 1-10)?
C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: "Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui". Gli rispose Gesù: "In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio". Gli disse Nicodèmo: "Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?". Gli rispose Gesù: "In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito". Replicò Nicodèmo: "Come può accadere questo?". Gli rispose Gesù: "Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose?

martedì 15 aprile 2014

Le sapienze e le religioni del mondo, secondo la Curia Romana

1.1. Le sapienze e le religioni del mondo
(COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, sito della Curia Romana)


12. Nelle diverse culture, gli uomini hanno progressivamente elaborato e sviluppato tradizioni di sapienza nelle quali esprimono e trasmettono la loro visione del mondo, come pure la loro percezione riflessa del posto che l’essere umano occupa nella società e nel cosmo. Prima di ogni teorizzazione concettuale, queste sapienze, che sono spesso di natura religiosa, trasmettono un’esperienza che identifica ciò che favorisce o ciò che impedisce il pieno manifestarsi della vita personale e il buon andamento della vita sociale. Esse costituiscono una sorta di «capitale culturale» disponibile per la ricerca di una sapienza comune necessaria per rispondere alle sfide etiche contemporanee. Secondo la fede cristiana, queste tradizioni di sapienza, nonostante i loro limiti e talvolta i loro errori, colgono un riflesso della sapienza divina che opera nel cuore degli uomini. Esse richiedono attenzione e rispetto, e possono aver valore di praeparatio evangelica.
La forma e l’estensione di queste tradizioni possono variare considerevolmente. Tuttavia sono testimoni dell’esistenza di un patrimonio di valori morali comuni a tutti gli uomini, al di là del modo in cui tali valori sono giustificati all’interno di una particolare visione del mondo. Ad esempio, la «regola d’oro» («Non fare a nessuno ciò che non vuoi che sia fatto a te» [Tb 4,15]) si ritrova, sotto una forma o un’altra, nella maggior parte delle tradizioni di sapienza (7). Inoltre, sono generalmente concordi nel riconoscere che le grandi regole etiche non solo si impongono a un determinato gruppo umano, ma valgono universalmente per ogni individuo e per tutti i popoli. Infine molte tradizioni riconoscono che questi comportamenti morali universali sono richiesti dalla natura stessa dell’essere umano: essi esprimono la maniera in cui l’uomo deve inserirsi, in modo creativo e insieme armonioso, in un ordine cosmico o metafisico che lo supera e che dà senso alla sua vita. Infatti tale ordine è impregnato da una sapienza immanente. È portatore di un messaggio morale che gli uomini sono in grado di decifrare.
13. Nelle tradizioni indù il mondo — il cosmo, come pure le società umane — è regolato da un ordine o da una legge fondamentale (dharma) che bisogna rispettare per non provocare gravi squilibri. Il dharma definisce perciò gli obblighi socio-religiosi dell’uomo. Nella sua specificità, l’insegnamento morale dell’induismo si comprende alla luce delle dottrine fondamentali delleUpanishads: la credenza in un ciclo indefinito di trasmigrazioni (samsāra), con l’idea che le azioni buone o cattive compiute nella vita presente (karman) hanno influenza sulle rinascite successive. Tali dottrine hanno importanti conseguenze sul comportamento nei confronti degli altri: implicano un alto grado di bontà e di tolleranza, il senso dell’azione disinteressata a beneficio degli altri, come pure la pratica della non-violenza (ahimsā). La principale corrente dell’induismo distingue due corpi di testi: šruti («ciò che è inteso», cioè la rivelazione) e smrti («ciò che si ricorda», cioè la tradizione). Le prescrizioni etiche si trovano soprattutto nella smrti, più in particolare neidharmaśāstra (i più importanti dei quali sono i mānava dharmaśāstra o leggi di Manu, del 200-100 a.C.). Oltre al principio di base, secondo il quale «il costume immemorabile è la legge trascendente approvata dalla sacra scrittura e dai codici dei divini legislatori; perciò ogni uomo delle tre classi principali, che rispetta lo spirito supremo che è in lui, deve sempre conformarsi diligentemente al costume immemorabile» (8), vi si trova un equivalente pratico della regola d’oro: «Ti dirò ciò che è l’essenza del più grande bene dell’essere umano. L’uomo che pratica la religione (dharma) del non-nuocere (ahimsā) universale acquista il più grande Bene. Quest’uomo che si domina nelle tre passioni, la cupidigia, la collera e l’avarizia, rinunciandovi in rapporto agli esseri, acquisisce il successo. [...] Quest’uomo che considera tutte le creature come il proprio “se stesso” e li tratta come il proprio “sé”, deponendo la verga punitiva e dominando completamente la sua collera, si assicurerà il possesso della felicità. [...] Non farà all’altro ciò che si considera nocivo per se stesso. È insomma la regola della virtù. [...] Nel fatto di rifiutare e di dare, nell’abbondanza e nell’infelicità, nel gradevole e nello sgradevole, si giudicherà di tutte le conseguenze considerando il proprio “sé”» (9). Diversi precetti della tradizione indù si possono mettere in parallelo con le esigenze del Decalogo (10).
14. Generalmente si definisce il buddismo con le quattro «nobili verità» insegnate da Buddha dopo la sua illuminazione: 1) la realtà è sofferenza e insoddisfazione; 2) l’origine della sofferenza è il desiderio; 3) la cessazione della sofferenza è possibile (con l’estinzione del desiderio); 4) c’è una via che conduce alla cessazione della sofferenza. Questa via è il «nobile ottuplice sentiero» che consiste nella pratica della disciplina, della concentrazione e della sapienza. Sul piano etico le azioni favorevoli si possono riassumere nei cinque precetti (śīlasīla): 1) non nuocere agli esseri viventi e non togliere la vita; 2) non prendere ciò che non è dato; 3) non avere una condotta sessuale scorretta; 4) non usare parole false o menzognere; 5) non ingerire prodotti intossicanti che diminuiscono il dominio di sé. Il profondo altruismo della tradizione buddista, che si traduce in un atteggiamento deliberato di non-violenza, con la benevolenza amichevole e la compassione, raggiunge così la regola d’oro.
15. La civiltà cinese è profondamente segnata dal taoismo di Laozi o Lao-Tse (VI sec. a.C.). Secondo Lao-Tse, la Via o Dào è il principio primordiale, immanente a tutto l’universo. È un principio inafferrabile di cambiamento permanente sotto l’azione di due poli contrari e complementari: lo yīn e lo yáng. Spetta all’uomo sposare tale processo naturale di trasformazione, lasciarsi andare al flusso del tempo, grazie all’atteggiamento di non-azione (wú-wéi). La ricerca dell’armonia con la natura, indissociabilmente materiale e spirituale, è dunque al cuore dell’etica taoista. Quanto a Confucio (571-479 a.C.), («Maestro Kong»), in occasione di un periodo di crisi profonda egli tenta di restaurare l’ordine con il rispetto dei riti, fondato sulla pietà filiale che dev’essere al cuore di ogni vita sociale. Infatti le relazioni sociali si modellano sulle relazioni familiari. L’armonia si ottiene con un’etica della giusta misura, in cui la relazione ritualizzata (il li), che inserisce l’essere umano nell’ordine naturale, è la misura di tutte le cose. L’ideale da raggiungere è ilren, virtù perfetta di umanità, fatta di dominio di sé e di benevolenza verso gli altri. «“Mansuetudine” (shù) non è forse la parola chiave? Ciò che tu non vorresti fosse fatto a te, non infliggerlo agli altri» (11). La pratica di questa regola indica la via del Cielo (Tiān Dào).
16. Nelle tradizioni africane, la realtà fondamentale è la stessa vita. Essa è il bene più prezioso, e l’ideale dell’uomo consiste non solo nel vivere al riparo delle preoccupazioni fino alla vecchiaia, ma soprattutto nel rimanere, anche dopo la morte, una forza vitale continuamente rafforzata nella e con la sua progenie. Infatti la vita è un’esperienza drammatica. L’essere umano, microcosmo all’interno del macrocosmo, vive intensamente il dramma dello scontro fra la vita e la morte. La missione che gli compete, di assicurare la vittoria della vita sulla morte, orienta e determina il suo agire etico. Così l’uomo deve identificare, in un orizzonte etico conseguente, gli alleati della vita, guadagnarli alla sua causa e così assicurare la propria sopravvivenza che è al tempo stesso la vittoria della vita. Questo è il significato profondo delle religioni tradizionali africane. L’etica africana si rivela così come un’etica antropocentrica e vitale: gli atti ritenuti suscettibili di favorire lo schiudersi della vita, di conservarla, di proteggerla, di svilupparla o di accrescere il potenziale vitale della comunità sono perciò considerati buoni; ogni atto considerato dannoso alla vita degli individui o della comunità è giudicato cattivo. Le religioni tradizionali africane appaiono così essenzialmente antropocentriche, ma un’osservazione attenta unita alla riflessione mostra che né il posto riconosciuto all’uomo vivo né il culto degli antenati costituiscono qualche cosa di chiuso. Le religioni tradizionali africane raggiungono il loro vertice in Dio, fonte della vita, creatore di tutto ciò che esiste.
17. L’islàm si considera la restaurazione della religione naturale originale. Vede in Maometto l’ultimo profeta inviato da Dio per ricondurre definitivamente gli uomini sulla retta via. Maometto però è stato preceduto da altri: «Non c’è comunità nella quale non sia passato un ammonitore» (12). L’islàm si attribuisce dunque una vocazione universale e si rivolge a tutti gli uomini, che sono considerati «naturalmente» musulmani. La legge islamica, indissolubilmente comunitaria, morale e religiosa, è intesa come una legge data direttamente da Dio. L’etica musulmana è dunque fondamentalmente una morale dell’obbedienza. Fare il bene significa obbedire ai comandamenti; fare il male significa disobbedire ad essi. La ragione umana interviene per riconoscere il carattere rivelato della Legge e ricavarne le implicazioni giuridiche concrete. Certo, nel IX secolo, la scuolamou’tazilita ha proclamato l’idea secondo la quale «il bene e il male sono nelle cose», cioè alcuni comportamenti sono buoni o cattivi in se stessi, anteriormente alla legge divina che li comanda o li proibisce. I mou’taziliti ritenevano che l’essere umano potesse conoscere con la ragione ciò che è buono o cattivo. Secondo loro, l’uomo sa spontaneamente che l’ingiustizia o la menzogna sono cattive, e che è obbligatorio restituire un prestito, allontanare da sé un danno, o mostrarsi riconoscenti verso i propri benefattori, il primo dei quali è Dio. Ma gli ach’ariti, che dominano nell’ortodossia sunnita, hanno sostenuto una teoria contraria. Fautori di un occasionalismo che non riconosce alcuna consistenza alla natura, ritengono che soltanto la rivelazione positiva di Dio definisca il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. Tra le prescrizioni di questa legge divina positiva, molte riprendono i grandi elementi del patrimonio morale dell’umanità e si possono mettere in relazione con il Decalogo (13).

lunedì 7 aprile 2014

Le parole di Gesù e di Buddha a confronto


Le parole di Gesù e di Buddha a confronto

Paralleli tra brani dei Vangeli e sutra buddhisti su compassione e saggezza.


A cura di MARCUS BORG

“Gli insegnamenti e le parole dei due Maestri a confronto”

Titolo originale dell’opera: Jesus and Buddha: The Parallel Sayings

Traduzione di Adria Tissoni Prefazione e introduzione:

Gruppo Editoriale Armenia S.p.A. Via Valtellina, 63 - Milano

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Oggi, la cultura asiatica si sovrappone a quella europea e nordamericana; la terra non e’ che un minuscolo globo nell’universo e i suoi continenti vanno alla deriva secondo modalita’ che nessun geologo avrebbe mai previsto. Se avessimo letto i testi sacri buddhisti e cristiani con maggiore attenzione, avremmo probabilmente capito tempo fa quanto simili siano le varie culture e le diverse religioni.

O, forse, avremmo ripreso a leggere la famosa poesia di Kipling dal verso in cui afferma che “l’Oriente e’ l’Oriente, e l’Occidente e’ l’Occidente”, al verso in cui annuncia che questi due mondi non si incontreranno mai, fino a imbatterci in una strofa che il ventesimo secolo pare aver scordato, in cui l’autore osserva: “Non c’e', ne’ Oriente, ne’ Occidente, ne’ Confine, ne’ Stirpe, ne’ Nascita / Quando due uomini forti si trovano faccia a faccia, pur provenendo dalle estremita’ della terra!”.


LA COMPASSIONE

L’affinita’ piu’sorprendente fra Gesu’ e il Buddha riguarda il concetto di amore: entrambi, infatti, predicano la Regola d’Oro, in base a cui ogni uomo deve trattare il suo prossimo come se stesso. Molte delle piu’ note affermazioni di Cristo, in ordine al fatto di porgere l’altra guancia, di amare i propri nemici; nonche’ l’idea che chi di spada ferisce, di spada perisce, si rispecchiano nelle parole del Buddha.

“La dottrina morale del Buddha”, osserva Burnett Hillman Streeter, illustre studioso di Oxford, “e’ sorprendentemente simile al discorso evangelico”. Inoltre, le parole dette da Gesu’ sulla montagna costituiscono il suo piu’ grande insegnamento, esattamente come il Dhammapada, concettualmente affine al Sermone, costituisce il libro piu’ importante del buddhismo: se esso e’ la trasposizione scritta in lingua pali della tradizione orale sorta tra i primi iniziati buddhisti, il discorso evangelico della montagna e altre parti dei quattro Vangeli vengono infatti attribuiti ai primi seguaci di Cristo.

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Cio’ che volete gli uomini facciano a Voi, anche voi fatelo a loro. LUCA 6, 31

Chi considera (gli altri) uguali a se stesso non danneggia, non uccide. DHAMMAPADA X, 129-130

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A chi ti percuote sulla guancia porgi anche l’altra. LUCA 6, 29

Se qualcuno ti colpisce con la mano, con un bastone, o con un coltello, dovresti abbandonare ogni desiderio e non pronunciare parole malvagie. MAJJHIMA NIKAYA 21, 6

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Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano.

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A chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Da’a chiunque ti chiede; e a chi prende il tuo, non richiederlo. LUCA 6, 27-30

Ecco proprio in causa dell’ostilita’ mai si placa l’ostilita’, solo con la non ostilita’ si placa: questo e’ immutabile elemento.

[…]
Con la calma vinci l’ira, col bene vinci il male. Vinci la miseria con la liberalita’, con la verita’, la menzogna. DHAMMAPADA I, 5; XVII, 223

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In verita’ vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli piu’ piccoli, non l’avete fatto a me. MATTEO 25, 45

Se non vi aiutate gli uni gli altri, chi ci sara’ ad aiutarvi? Chiunque aiuta me, deve aiutare i malati. VINAYA, MAHAVAGGA 8, 26, 3

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Rimetti la spada nel fodero, perche’ tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. MATTEO 26, 52

Distaccandosi dal desiderio di prendere la vita, l’ascetico Gautama esiste, evitando di prendere la vita, senza bastone, ne’ spada. DIGHA NIKAYA 1, 1, 8

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Questo e’ il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha amore piu’ grande di questo: dare la vita per i propri amici. GIOVANNI 15, 12-13

Come una madre difenderebbe con la vita il suo proprio figlio, il suo unico figlio, cosi’ sviluppi egli un animo illimitato nei riguardi di tutti gli esseri viventi. Coltivi benevolenza ed animo illimitatamente benigno per tutto il mondo. SUTTA NIPATA 149-150

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La grazia e la verita’ vennero per mezzo di Gesu’ Cristo. GIOVANNI 1, 17


Il corpo del Buddha e’ nato dall’amore, dalla pazienza, dalla gentilezza e dalla verita’. VIMALAKIRTINIRDESHA SUTRA 2

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Cosi’, vi dico, c’e’ gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte. LUCA 15, 10

Il bodhisattva ama tutti gli esseri viventi, come fossero tutti suoi figli. VIMALAKIRTINIRDESHA SUTRA 5

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Tu conosci i miei comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre”. MARCO 10, 19

Astieniti dall’uccidere e dal prendere cio’ che non ti e’ dato. Astieniti dall’impurita’ e dal dire il falso. Non accettare oro e argento. KHUDDAKAPATHA 2

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LA SAGGEZZA

Alla base del cristianesimo, che influenza gran parte del mondo occidentale , e del buddhismo, che rappresenta una forza trainante della cultura orientale, si ritrova la stessa saggezza. Sia Gesu’, sia il Buddha hanno posto l’accento sull’individuo, sottolineando che l’interiorita’ e’ piu’ importante dell’esteriorita’ e che ognuno di noi dovrebbe considerare la propria vita, invece di criticare quella altrui. Per descrivere la realta’ morale entrambi ricorrono, peraltro, alle medesime immagini: luce e tenebra , sole e pioggia, la pianta che da’ frutti e quella infruttifera. Gli studiosi che si interessano a Cristo come figura storica conferiscono oggi sempre piu’ importanza al suo ruolo di saggio del primo secolo: molti degli aforismi che citano per ritrarlo come tale racchiudono gli stessi consigli che il Buddha diede ai suoi seguaci, cinque secoli prima.

“Il regno dei cieli si puo’ paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso e’ il piu’ piccolo di tutti i semi; ma, una volta cresciuto, e’ piu’ grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli dal cielo e si annidano fra i Suoi rami. MATTEO 13, 31-32

Non supporre del bene: “non mi raggiungerà’”. Come versando l’acqua da una brocca si riempie un bicchiere, cosi’ il saggio si riempie di bene accumulandolo a poco a poco. DHAMMAPADA IX, 122

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Perche’ guardi la pagliuzza che e’ nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che e’ nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che e’ nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che e’ nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello. LUCA 6, 41-42

I difetti altrui sono piu’ facili da vedere rispetto ai propri; i difetti degli altri vengono visti facilmente, perche’ vengono setacciati come pula; ma, i propri sono difficili da vedere. E’ come il baro che nasconde i suoi dadi e mostra quelli dell’avversario, richiamando l’attenzione sulle mancanze di questi, pensando continuamente di accusarlo. UDANAVARGA 27, 1

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“Maestro, questa donna e’ stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mose’, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”

[…]
E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzo’ il capo e disse loro: “Chi di voi e’ senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. GIOVANNI 8, 4-5; 7

Non le altrui cattive azioni non cio’ che gli altri fanno, o non fanno, ciascuno guardi Cio’ che lui stesso fa o non fa. DHAMMAPADA IV, 50

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“La lucerna del tuo corpo e’ l’occhio. Se il tuo occhio e’ sano, anche il tuo corpo e’ tutto nella luce; ma, se e’ malato, anche il tuo corpo e’ nelle tenebre. Bada dunque che la luce che e’ in te non sia tenebra. Se il tuo corpo e’ tutto luminoso senza avere alcuna parte nelle tenebre, tutto sara’ luminoso, come quando la lucerna ti illumina col suo bagliore”. LUCA 11, 34-36 


Un uomo con gli occhi che porta una lampada vede tutti gli oggetti, cosi’ come uno che ha ascoltato la Legge Morale. diventera’ perfettamente saggio. UDANAVARGA 22, 4

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Percio’, vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete, o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale piu’ del cibo e il corpo piu’ del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, ne’ mietono, ne’ ammassano nei granai; eppure, il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse piu’ di loro? MATTEO 6, 25-26

Di chi non ha provviste, di chi ben conosce il valore del cibo, di chi libero si pasce di vacanza senza immagini mentali, la via e’ difficile a conoscere quale di uccello nel cielo. Di chi ha totalmente esausti gli asava, di chi e’ staccato dal cibo, di chi libero si pasce di vacanza senza immagini mentali, l’orma e’ difficile a conoscere quale di uccello nel cielo. DHAMMAPADA VII, 92-93

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Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori; perche’ siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. MATTEO 5, 45

La grande nuvola fa piovere su tutto, che sia di natura superiore, o inferiore. La luce del sole e della luna illumina tutto il mondo, sia colui che fa il bene sia colui che fa il male, sia colui che si eleva sia colui che si abbassa. SADHARMAPUNDARIKA SUTRA 5

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Non c’e’ albero buono che faccia frutti cattivi, ne’ albero cattivo che faccia frutti buoni. Ogni albero, infatti, si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, ne’ si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perche’ la bocca parla dalla pienezza del cuore. LUCA 6, 43-45

Qualsiasi cosa commetta una persona, che siano azioni virtuose o peccaminose, nessuna di esse ha poca importanza; tutte hanno qualche frutto. UDANAVARGA 9, 8

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“Non c’e’ nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo: sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo”. MARCO 7, 15

“L’uccidere, il massacrare, il ferire, l’imprigionare esseri viventi; il furto, la menzogna, l’inganno, la frode, l’ipocrisia, l’adulterio: questo e’ putredine, non il cibo carneo”. SUTTA NIPATA 242

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Gesu’, pero’, non si confidava con loro, perche’ conosceva tutti e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro, egli infatti sapeva quello che c’e’ in ogni uomo. GIOVANNI 2, 24-25

Era esperto nel conoscere i pensieri e le azioni degli esseri viventi. VIMALAKIRTINIRDESHA SUTRA 2

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Risposero le guardie: “Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!”. GIOVANNI 7, 46

“Non ho mai visto prima d’ora - disse il venerabile Sariputto - ne’ ho mai udito riferire da alcuno di un maestro che parli cosi’ amabilmente, venuto dal cielo dei Tusita”. SUTTA NIPATA 955



lunedì 17 febbraio 2014

L'eterna Sapienza

Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla; parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Sta scritto infatti: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio. (Paolo, 1Co 2,6-10, libera fusione di Is 64,3- 65,16-40,13 e Nm 27,12)



Ad una certa altezza non ci sono più baratri, le vie si uniscono oltre le valli. (Raimon Panikkar, parlando delle vie spirituali, o religioni)


Nelle pagine precedenti, abbiamo già assegnato a ciascuno dei Luminari che sorgono dalle Sorgenti della santità eterna due stadi. Uno di questi, quello dell'unità essenziale, lo abbiamo già spiegato. « Non facciamo differenza alcuna fra loro ». L'altro è lo stadio di distinzione e riguarda il mondo della creazione e delle sue limitazioni. Da questo punto di vista ogni Manifestazione di Dio ha una differente individualità, una Missione definitivamente assegnata, una Rivelazione predestinata e limitazioni particolarmente fissate. Ognuna di esse è conosciuta con un nome differente, è caratterizzata da un attributo speciale, compie una missione definita e le è affidata una particolare Rivelazione. Com'Egli disse: « Di tali Messaggeri Divini alcuni li abbiam resi superiori ad altri; fra essi c'è chi parlò con Dio, ed Egli ne ha elevati alcuni di vari gradi. Così demmo a Gesù, figlio di Maria, prove chiare e Lo confermammo con lo Spirito Santo ».
A causa di questa differenza di stadio e missione le parole e le affermazioni che scaturiscono da queste Sorgenti di sapienza divina sembrano contraddirsi e differire. Ma agli occhi di coloro che sono iniziati ai misteri della saggezza divina, tutti i loro discorsi non sono, in realtà, che espressione di un'unica Verità. La maggior parte della gente, non essendo riuscita a valutare gli stadi ai quali Ci siamo riferiti, è perplessa e inquieta di fronte alle espressioni diverse pronunziate dalle Manifestazioni, che sono, poi, essenzialmente le stesse. (Bahà-ù-llàh, Il Libro della Certezza 192-193)


Il Tao che può essere detto non è l'eterno Tao,
il nome che può essere nominato non è l'eterno nome.
Senza nome è il principio del Cielo e della Terra,
quando ha nome è la madre delle diecimila creature.
(Lao Tzu, Incipit del Tao Te Ching)


Come il sole e la luna e il cielo e la terra e il mare sono di tutti, così pure le religioni e i modi di chiamare le divinità variano da popolo a popolo a seconda delle singole tradizioni, però tutti si riferiscono a una sola ragione prima, quella che ha dato origine a questo mondo, e a una sola provvidenza che lo dirige. (Plutarco)