Concept

L'idea alla base di questo blog è di segnalare le "perle" di saggezza che ci hanno lasciato i diversi saggi. Queste parole sono i riflessi dei concetti eterni, che essi hanno espresso per gli uomini, ognuno secondo la propria cultura di partenza, ma tutti indicando le stesse verità.

martedì 15 settembre 2015

La Filosofia Perenne

Introduzione al libro di Aldous Huxley

Copertina del libro
(i grassetti e le note al testo sono mie C.L.)

Philosophia Perennis: la definizione fu coniata da Leibniz ma la cosa in sé è universale e al di fuori del tempo. È una metafisica che riconosce una Realtà divina consustanziale al mondo delle cose, delle vite e delle menti; è una psicologia che scopre nell'anima qualcosa di simile alla Realtà divina o addirittura di identico ad essa; è un’etica che assegna all'uomo come fine ultimo la conoscenza del Fondamento immanente e trascendente di tutto ciò che è. Si possono trovare rudimenti di questa Filosofia Perenne nelle dottrine tradizionali dei popoli primitivi in ogni regione del mondo, mentre nelle sue forme compiutamente sviluppate essa trova posto in ognuna delle religioni più elevate. Una versione di questo Massimo Comun Divisore di tutte le teologie che precedettero e seguirono fu affidata per la prima volta alla scrittura più di venticinque secoli fa, e da quell'epoca l’argomento, inesauribile, è stato trattato più volte, dal punto di vista di ogni tradizione religiosa e in tutte le principali lingue d’Asia e d’Europa. Nelle pagine che seguono, ho raccolto un certo numero di brani estratti da queste opere, scelti principalmente per il loro significato — essi illustravano infatti in modo efficace qualche punto particolare del sistema generale della Filosofia Perenne — ma anche per la loro memorabilità e bellezza intrinseche. Queste citazioni sono distribuite in vari capitoli e, per così dire, incastonate in un commento personale, inteso ad illustrare e a collegare, ad ampliare e, ove necessario, chiarire.
La conoscenza è una funzione dell'essere. Dove si dà un cambiamento nell'essere del soggetto conoscente, vi è cambiamento corrispondente nella natura e nella quantità delle conoscenze. Ad esempio, l'essere di un bambino si trasforma in quello di un uomo attraverso lo sviluppo e l'istruzione;
tra i risultati di questa trasformazione si ha un cambiamento rivoluzionario nel modo di conoscere e nella quantità e nella natura delle cose conosciute. Con lo sviluppo dell'individuo la sua conoscenza diviene più concettuale e sistematica quanto alla forma, mentre aumenta notevolmente il suo contenuto utilitario e strumentale. A questi vantaggi si contrappone un certo deterioramento nella qualità dell'apprensione immediata, un ottundersi e un depauperarsi delle facoltà intuitive.*
Consideriamo poi il mutamento che lo scienziato è in grado di indurre meccanicamente nel proprio essere per mezzo dei propri strumenti di lavoro. Munito di uno spettroscopio e di un riflettore di un metro e mezzo, un astronomo diventa una creatura sovrumana, per quel che riguarda la vista; e, come è ampiamente prevedibile, la conoscenza posseduta da questa creatura sovrumana è molto diversa, per qualità e quantità, rispetto a quella acquisibile da parte di chi guardi le stelle con occhi umani, senza alcun sussidio tecnico.
I mutamenti fisiologici o intellettuali del soggetto conoscente non sono tuttavia gli unici a modificarne la conoscenza. Quello che sappiamo dipende anche da ciò che vogliamo fare di noi stessi, in quanto esseri morali. «La pratica» per citare William James «può cambiare il nostro orizzonte teoretico, e ciò avviene in duplice maniera: essa può aprire la strada a nuovi mondi e darci nuove facoltà. La conoscenza cui non potremmo mai attingere, restando ciò che siamo, può essere raggiungibile per mezzo di facoltà più alte e di una vita superiore, che noi possiamo acquisire moralmente». Per porre la questione in modo più succinto, «Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Iddio». E la stessa idea è stata espressa dal poeta sūfī Jalāl ad-Dīn Rūmī, nei termini di una metafora scientifica: «L’astrolabio dei misteri di Dio è l'amore».
Il presente volume, torno a dire, è un'antologia della Filosofia Perenne, ma ciò nonostante esso contiene solo pochi estratti da opere di letterati di professione e, per quanto illustri una filosofia, vi si trovano ben poche pagine di filosofi di professione. Il motivo è molto semplice. La Filosofia Perenne si occupa principalmente dell'unica, divina Realtà consustanziale al mondo molteplice delle cose, delle vite e delle menti. Ma la natura di quest’unica Realtà è tale da non poter essere appresa direttamente e immediatamente se non da coloro che hanno deciso di adempiere certe condizioni, rendendosi pieni di amore, puri di cuore e poveri di spirito. Perché sono queste le condizioni? Non lo sappiamo. È uno di quei fatti che dobbiamo accettare, ci piacciano o no, per quanto possano sembrarci inverosimili e intollerabili. Niente nella nostra esperienza quotidiana ci autorizza minimamente a supporre che l'acqua sia costituita da idrogeno e da ossigeno: eppure, quando sottoponiamo l'acqua a certi trattamenti sufficientemente drastici, la natura dei suoi elementi costitutivi diviene palese. Analogamente, nella nostra esperienza quotidiana nulla ci autorizza a supporre che la mente dell'uomo medio abbia, fra le parti che la compongono, qualcosa che assomigli o sia identico alla Realtà sostanziale del mondo molteplice: eppure, quando questa mente è sottoposta a certi trattamenti sufficientemente drastici, l'elemento divino del quale, almeno in parte, è composta diviene palese non solo alla mente stessa ma anche, a motivo dei suoi riflessi sul comportamento esteriore, alle altre menti. Solo attraverso gli esperimenti fisici possiamo scoprire la natura intima della materia e le sue potenzialità. Ed è solo grazie agli esperimenti psicologici e morali che possiamo scoprire l'intima natura della mente e le sue potenzialità. Nelle circostanze ordinarie della vita media sensibile queste potenzialità della mente rimangono latenti e non si manifestano. Se vogliamo realizzarle dobbiamo soddisfare certe condizioni e obbedire a certe regole che l'esperienza empirica ha dimostrato valide.

Per ben pochi filosofi o letterati di professione vi è la prova che essi abbiano soddisfatto pienamente le condizioni necessarie alla conoscenza spirituale diretta.* Quando i poeti o i metafisici trattano del tema della Filosofia Perenne, essi lo fanno generalmente di seconda mano. Ma in ogni epoca vi sono stati uomini e donne che hanno deciso di adempiere le condizioni in base alle quali solamente, in quanto grezzo fatto empirico, si può avere una tale conoscenza immediata. Pochi tra questi hanno lasciato un resoconto sulla Realtà che erano riusciti a cogliere e hanno cercato di collegare, in un sistema di pensiero articolato, i dati di questa esperienza coi dati delle altre loro esperienze. A tali rappresentanti di primo piano della Filosofia Perenne, coloro che li conobbero davano generalmente il nome di «santi» o «profeti», di «savi» o «illuminati». Ed è da loro che ho tratto principalmente le mie citazioni, piuttosto che attingere alle opere dei filosofi o letterati di professione, perché vi sono buone ragioni di supporre che essi sapessero quello che dicevano.

In India vengono riconosciuti due gruppi di sacre scritture: la Śruti, o libri ispirati che trovano in se stessi la garanzia della propria autorevolezza, poiché sono il prodotto di una visione immediata dell'ultima Realtà; e la Smṛti, basata sulla Śruti, dalla quale deriva la propria relativa autorità. «La Śruti» per usare le parole di Śaṅkara «si fonda sulla percezione diretta. La Smṛti svolge un ruolo analogo all'induzione, perché, come questa, deriva la propria autorità da un'autorità diversa da se stessa». Il nostro volume, dunque, è un'antologia con commenti esplicativi, di brani tratti dalla Śruti e
dalla Smṛti di molte epoche e di molti luoghi. Purtroppo, la familiarità con scritture tradizionalmente sacre tende a generare non proprio il disprezzo ma qualcosa che, agli effetti pratici, è quasi altrettanto dannoso: e cioè una specie di insensibilità reverenziale, un intorpidimento dello spirito, una sordità interiore al significato delle sacre parole. Per questa ragione, nello scegliere il materiale per illustrare le dottrine della Filosofia Perenne così come vennero formulate in Occidente, mi son rivolto quasi sempre a fonti diverse dalla Bibbia. Questa Smṛti cristiana a cui ho attinto si basa sulla Śruti dei libri canonici, ma ha il gran vantaggio di essere meno nota e pertanto più vivace e, per così dire, più percepibile. Inoltre, gran parte di questa Smṛti è opera di uomini e donne veramente santi, che hanno dimostrato di conoscere di prima mano l'argomento di cui parlano. Di conseguenza, può essere considerata essa stessa come una forma di Śruti ispirata e garante di se stessa; e questo in grado
assai più eminente di molti degli scritti inclusi nel canone biblico.

In anni recenti sono stati compiuti numerosi tentativi per elaborare un sistema di teologia empirica. Ma, ad onta della sottigliezza e del vigore intellettuale di scrittori come Sorley, Oman e Tennant, il tentativo ha avuto un successo solo parziale. Anche presso i suoi più validi rappresentanti la teologia empirica non è particolarmente convincente. Credo che il motivo si debba ricercare nel fatto che i teologi empirici hanno limitato la loro attenzione più o meno esclusivamente all'esperienza di coloro che i teologi di una scuola più antica chiamavano «i non rigenerati»**, e cioè all'esperienza di persone che non si sono spinte molto avanti‘ nel soddisfare le condizioni necessarie della conoscenza spirituale. E un fatto, confermato più volte in due o tremila anni di storia religiosa, che la Realtà ultima non è appresa nitidamente e immediatamente se non da coloro che si sono resi pieni d'amore, puri di cuore e poveri di spirito. Stando così le cose, non sorprende certo che una teologia basata sull'esperienza di brave persone, normali e non rigenerate, debba convincere così poco***. Questa specie di teologia empirica, come del resto l'astronomia empirica, si basa sull'esperienza di chi osserva a occhio nudo. A occhio nudo e senza sussidio di strumenti si può scoprire nella costellazione d’Orione una macchiolina e sulla sua osservazione si può indubbiamente fondare un'imponente teoria cosmologica. Ma per quanto si teorizzi, sia pure in modo ingegnoso, tutto ciò non varrà a dirci, circa le nebulose galattiche ed extragalattiche, quello che ci può dire l'osservazione diretta compiuta per mezzo di un buon telescopio, di una macchina da presa e di uno spettroscopio. Analogamente, per quanto si teorizzi, in base agli indizi intravisti più o meno chiaramente all'interno dell'esperienza comune e non rigenerata del mondo molteplice, tutto ciò non varrà a dirci a proposito della Realtà divina quello che può essere direttamente appreso da uno spirito distaccato, pieno di carità e umiltà. La scienza naturale è empirica, ma essa non si limita all'esperienza degli esseri umani nella loro condizione puramente umana e non modificata. Dio solo sa perché i teologi empirici si debbano sentire obbligati a sottomettersi a questa limitazione. E, ovviamente, fintanto che costringono l'esperienza empirica in questi limiti troppo umani, essi sono condannati alla vanificazione perpetua dei loro sforzi migliori. Dal materiale che hanno scelto, nessuna mente, per quanto brillante e dotata, potrà inferire più di una serie di possibilità o, nel migliore dei casi, di probabilità speciose. La certezza autoconvalidantesi della consapevolezza diretta non può essere acquisita nella natura stessa delle cose se non da coloro che siano muniti di quel morale «astrolabio dei misteri di Dio». Se non si è saggi o santi, la miglior cosa da fare nel campo della metafisica è studiare le opere di coloro che furono tali, e furono in grado, avendo modificato il loro modo di essere semplicemente umano, di attingere una qualità e una quantità di conoscenza più che semplicemente umane.


Note:

*  Sull'importanza di rimanere piccoli, perché solo i piccoli, i bambini, i semplici, i non "addomesticati" da questo mondo, possono entrare nel regno, possono accoglierne la novità:
  • Mc 10:14-15 Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso».
  • Mc 2:21-22 «Nessuno cuce un pezzo di stoffa nuova sopra un vestito vecchio; altrimenti la toppa nuova porta via il vecchio, e lo strappo si fa peggiore. Nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino fa scoppiare gli otri, e il vino si perde insieme con gli otri; ma il vino nuovo va messo in otri nuovi». 
  • Mt 11:25-26 In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te.» 
  • Quest'ultimo concetto viene ribadito nel passo di Lao Tsu «Il saggio non è erudito e l'erudito non è saggio» ed è chiaramente espresso nella distinzione tra sacerdoti e profeti in "La disobbedienza ed altri saggi" di Eric Fromm.
**   Sul fenomeno della rinascita, che le varie religioni contemplano come un punto nodale nella vita del fedele, Gesù spiega (Gv 3:3) «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio»

***   Lo stesso dicasi per il catechismo della chiesa cattolica. Come può essere convincente se non dice la verità che diceva Cristo?


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